Illustrazione italiana
Enrico Corradini
I- Come si parte per la guerra e s’incappa nel lazzaretto. Il lazzaretto di Malta. I profughi della Tripolitania. Partenza da Malta. Come avvistiamo le nostre navi. La nostra bandiera a terra. Lo sbarco de’ marina; II- I nostri marinai
22 ottobre 1911- Anno XXXVIII-Num.43, pp 418-424
Inizia la collaborazione di Corradini come inviato speciale. Le prime due "cronache" sono datate "Tripoli, 8 ottobre" e " Tripoli, 11 ottobre". La prima "cronaca" è il racconto a tratti un po’ sarcastico della sosta al lazzaretto di Malta per una specie di quarantena, prevista per uomini e animali, prima di potersi imbarcare per Tripoli. Nello stesso lazzaretto Corradini incontra una varia umanità europea in fuga dalla Tripolitania, compresi gli italiani "regnicoli e della colonia". Dopo due giorni, la partenza per Tripoli sulla nave Bisagno e l’avvistamento dal ponte della nave della bandiera italiana che sventola su varie postazioni strategiche della città: " A terra, sulla nuda collina della spiaggia, apparve, visibile, tutta spiegata, la nostra bandiera. Stava sulla terra conquistata qual segno della nostra unione italiana. Stava a destra della città di Tripoli sulla spiaggia di Gargaresch. Non l’avevo mai vista cos’ grande, non l’avevo mai vista come allora." "Sempre velata di nebbia, apparve la bella preda conquistata allora allora, Tripoli cinta dalle sue mille e mille palme, quale l’avevo vista qualche mese fa quando v’ero approdato la prima volta, e quanto diversa. Già era amata dai cuori italiani. Sui tetti, sui forti smantellati, da per tutto sventolavano bandiere italiane." La seconda "cronaca" è dedicata ai "nostri marinai", incontrati agli avamposti di Bu-Meliana, verso il deserto: "ci compenetriamo inebriandocene con quest’anima marinaresca d’Italia improvvisamente portata a diffondersi su questa costa d’Africa. È la gioventù generosa, è la generosa infanzia di tutte le coste d’Italia, della Sicilia, del Mezzogiorno, della Liguria, delle altre regioni.". Dalle lodi della Marina, il racconto passa a inquadrare singoli marinai, tutti comunque senza nome: "un calabro piccolo e robustissimo" che con filosofia confessa al giornalista " Per ora, va bene, perché abbiamo vinto noi", " un catanese dalla faccia larga, quadrata, illuminata di cordialità e di intelligenza", e non manca il "marinaio ucciso agli avamposti", sepolto sotto un tumulo di sabbia "col segno del cristiano e pochi fiori", dalla cui "umile tomba potrà uscire un germe di vita per la provincia che abbiamo fatta nostra".