Il Corriere della Sera
Arnaldo Fraccaroli
Il mio servo Alì
Mercoledì, 15 maggio 1912- Anno 37- Num. 134, pp 3
Si tratta di un bozzetto coloniale, piuttosto agghiacciante nel suo sfrontato racconto dello sfruttamento infantile e coloniale, composto come indica l’epigrafe a" Bengasi, aprile". Incipit: " Ho un piccolo servo arabo che si chiama Alì. Voi direte forse che non ve ne importa niente. E farete male. Perché Alì pur essendo un arabetto alto un metro, taghià compresa- bianca nei giorni di lavoro, rossa con grande fiocco turchino nei giorni di festa e del Bairam- rappresenta niente meno che l’arabo di domani, la nuova generazione che crescerà abituata all’idea di avere gli italiani per padroni e ricorderà dei turchi questa sola cosa: che ai tempi della guerra non si facevan mai vedere. Il mio piccolo Alì è dunque un simbolo. Se lo sapesse, forse si laverebbe di più". Prosegue con aneddoti sulle incomprensioni culturali e linguistiche tra servo arabo e padrone italiano e sulla furbizia del ragazzino che, scoperto a cospargersi dell’acqua di colonia del giornalista grida "Viva l’Italia!". L'ottica del racconto di amplia a comprendere altri bambini lavoratori:la "squadra dei lustrascarpe" i "portatori d’acqua" e i bambini che portano il cesto della spesa quando un italiano va a far compere: " con la vostra roba nel canestro lo "zumbino" [ corruzione della parola "bambino"] vi segue in tutti i negozi […] se vi sedete al caffè egli si accoscia vicino a voi: potete benissimo non curarvene, dimenticarlo. Egli vi segue in silenzio come un cane, e al rientrare in casa, magari dopo un paio d’ore, lo "zumbino" è lì pronto col suo canestro pieno, e con dieci centesimi se il viaggio è breve, con qualche soldo in più se è stato lungo, ve ne fate un amico".