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Paolo Valera

Le giornate di Sciarasciat.- Fotografate

Stab. Tip. Corsari, Milano, 1912

Si tratta di un opuscolo di 33 pagine, ampiamente illustrato. Significativo il titolo e sottotitolo del primo capitolo ( Il 23,24,25,26 e 27 ottobre 1911- rappresentano la carneficina araba di 4000 uomini, di 400 donne e di molte fanciulle, ragazzi e bimbi) con cui Valera sintetizza tutta la sua indignazione e il suo rifiuto delle tesi nazionaliste per cui " Più la strage è inaudita e più gloria è cosparsa sui vincitori.[…] I decimatori di nemici sono eroi. […] A fianco delle cataste umane si accendono i fuochi di gioia"(p.3). Nelle pagine successive, il "carnevale di sangue" dei soldati italiani, resi quasi folli dalla paura ( " I soldati italiani spaventavano. Erano tutti armati di revolver e tiravano senza remissione. Erano perseguitati dalla follia del sangue o impazziti dal sangue"p.15) e di fatto abbandonati a se stessi dalla latitanza dell’incapace generale Caneva, è descritto in una serie di raccapriccianti dettagli: esecuzioni barbare e sommarie, mucchi di cadaveri, case incendiate.( "Gli arabi non avevano più munizioni. La bandiera bianca non li ha salvati. Sfondata la porta vennero sdraiati nella morte"(p.13); "La compassione era assente. Si sono uccisi mendicanti, storpi, gente sciancata, cieca."(p.11). L’indignazione di Valera non intende però appuntarsi sui soldati, quanto sui loro superiori, dal cinico capitano che fotografa la strage con la sua Kodak e la sigaretta in bocca (p.15), al generale Caneva, "rimasto tappato nella sua residenza coperta di sacchi di sabbia e di rivestimenti a prova di bombe, con i soldati sui tetti intorno al suo edificio"(p.14) , e, passando per gli ambasciatori italiani, il deputato De Felice, i corrispondenti italiani e Jean Carrère, arriva fino a Giovanni Giolitti, "colpevole di avere insigniti, promossi ed elencati gli autori degli eccidi"(p.4). Descritta e documentata la strage continua di quei giorni nell’oasi di Tripoli, Valera stende un atto d’accusa mirato contro i corrispondenti militari italiani che hanno negato le atrocità, denunciate invece dalla libera stampa anglo-americana: Bennet Burleigh del Daily Telegraph, che ha dato i numeri dell’eccidio "(4000 uomini e non meno di 400 donne con tanti figli") e ha parlato di un "massacro di forti e di deboli, di vecchi e di giovani, uccisi a pochi passi dagli uccisori, senza processo, solo per la loro pelle e per il loro barracano"(pp.18-19); il corrispondente del Times che ha "epitomizzato la strage con questo epitaffio : ’ La memoria di questa vendetta durerà a lungo. Io ho assistito a una delle fasi più spietate della guerra’"(p.19), McCullagh del New York World che "come protesta contro gli assassinati innocenti ha rinviata la tessera di corrispondente al generale Caneva"(p.19), e ancora Ashmead Barlett della Reuter, Grant del Daily Mirror, Davis del Morning Post tutti concordi nel descrivere e denunciare le atrocità italiane. Il breve secondo capitolo, intitolato I sei famosi prigionieri, passa a descrivere, per contrasto, il modo con cui i turchi hanno trattato i prigionieri italiani portati nel villaggio fortezza di Gharian, nel Jebel, ma Valera torna, subito dopo, alla denuncia della feroce crudeltà italiana con i successivi capitoli dedicati alla Fucilazione del secondo canvas del Consolato Germanico, (un mite e coraggioso canvas, cioè traduttore, di nome Hussein, accusato di aver accoltellato un soldato del quinto artiglieria , la cui esecuzione avviene davanti a "una fila di corrispondenti e di ufficiali, alcuni con le macchine fotografiche.[…] Quasi tutti gli spettatori avevano in bocca la sigaretta. Il cinematografo occupava la posizione migliore. Carlo Caneva aveva la mania degli spettacoli cinematografici. Ai fotografi aveva dato carta bianca. L’ufficiale era Luca Comero. Conversatasi come in caffè",p.25), e I quattordici strangolati in piazza del Pane, quattordici arabi processati il 5 dicembre 1911 in relazione alla "cosiddetta rivolta del 23 ottobre" e impiccati. In entrambi i capitoli Valera mette in scena davanti al lettore, con lo stile sintetico e paratattico che lo contraddistingue, le fasi convulse di due processi ingiusti e la barbara esecuzione degli imputati ("Il processo è avvenuto spettacolosamente in una pubblica via, il 24 ottobre 1911. Hussein vi è andato nel suo bianco barracano, con le mani legate e circondato da un numero strabocchevole di soldati e carabinieri.[…]. La Corte militare si è seduta alle quattro e mezzo della giornata dopo l’avvenimento crudele […] .L’apparato si componeva di un tavolo con calamaio, penne, carte e due sedie. Sulle due sedie sedevano due vecchi superiori dai baffi grigi con la montura coperta di croci e medaglie militari. La Corte era circondata da un battaglione di soldati"p.24 "Udita la sentenza disse:- Ho capito, ma non è giusta"p.25; " La tavola sotto i loro piedi è caduta con un tonfo sordo e i corpi sono precipitati con un movimento isocrono. I 14 barracani parevano pieni di vento. Dondolavano e fremevano. La giustizia militare era un fatto compiuto. I cadaveri penzolarono tre giorni. Spettacolo barbaro."p.31). Tutto questo insieme di atti brutali e spietati, considera infine Valera, non potrà che spingere la Libia a rinnovare "la lotta per la propria libertà, per la propria indipendenza"(p.31), così come, aveva scritto poco prima, le condanne dei martiri di Belfiore avevano spinto i patrioti italiani a combattere con ancora maggiore determinazione contro l’Austria (p.28).L’ultima documentazione, che suggella il volume, è fornita dal tenente Hubert G. Montagu, della Central News: egli attesta il nervosismo procurato negli italiani dai falsi assalti notturni agli avamposti e la loro progressiva esasperazione, acuita anche dal ricordo degli Abissini di Adua, ma tutto ciò non può giustificare i massacri di donne da lui scoperti casualmente uno in una casa dell’oasi e l’altro in una moschea inondata di sangue. La sua domanda accorata fatta propria indirettamente dallo stesso Valera è questa: "Sir,- domandava al direttore della Central News- is this European war' ( Signore, è questa una guerra europea'). Are such crime to be permitted' ( Devono essere permessi simili delitti')" (p.32).

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